L’influenza del fotografo Saul Leiter su Carol, film di Todd Haynes, che vede nel cast Cate Blanchett, Rooney Mara, Sarah Paulson e Kyle Chandler.
Come può uno dei migliori fotografi della nostra generazione – e di certo non uno dei più conosciuti – aver influenzato un film del 2015? Parlo rispettivamente di Saul Leiter e di Carol di Todd Haynes.
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Saul Leiter nasce negli Stati Uniti nel 1923 e lavora nel settore del reportage giornalistico e della fashion photography.
Principalmente è noto per i suoi lavori in bianco e nero, ma quello che nessuno al tempo sapeva era che ha speso moltissimo tempo a lavorare con i colori, per progetti personali: oltre ad avere un gusto estetico superlativo per quanto riguarda gli accostamenti cromatici e il trattamento stesso del colore, sperimenta molto con pellicole scadute o male conservate, che donano effetti particolari e unici ai suoi scatti.
L’astrazione è un elemento fondamentale della sua fotografia e ad essa segue una propensione ad un minimalismo inteso come capacità di inserire nella composizione il minor numero possibile di soggetti: ogni elemento che Leiter inseriva nelle sue fotografie doveva essere esattamente dove si trovava, si tratta di un’attitudine affine alla gestalt (nda: la gestaltpsychologie o psicologia della forma è un movimento teorico e pratico che si è sviluppato in opposizione allo strutturalismo. Il motto dei gestaltisti è: “Il tutto è più della somma delle singole parti”, ovvero che la totalità di ciò che si percepisce è caratterizzata non solo dalla somma delle singole percezioni, ma da qualcosa di più che permette di comprendere la forma nella sua totalità).
Carol è un film del 2015, diretto da Todd Haynes: siamo in una New York ricoperta di neve negli anni ’50, in cui viene raccontata in un modo delicato ma prorompente, una storia d’amore.

Proprio dal contesto iniziano ad esserci i primi riferimenti a Saul Leiter, le cui fotografie più famose sono non solo ambientate a New York, ma sono state scattate in situazioni atmosferiche di pioggia o neve, per l’appunto. L’ombrello, ad esempio, è un elemento fondamentale dei suoi scatti.
Quello che dice Haynes in un’intervista è che a tutti gli effetti ha utilizzato le fotografie di Leiter come punto di partenza per adattare il libro di Patricia Highsmith allo schermo, una sorta di moodboard in cui si trovavano sia le palette di colore (il cui spiccano i toni tenui e molto spesso il rosso, a cui arriveremo più avanti), sia inquadrature vere e proprie.
Leiter spesso catturava immagini rifratte attraverso finestre o specchi – sovente giocava con le gocce di pioggia per creare effetti visivi unici: Haynes, allo stesso modo, ha creato una regia basata su scene riprese attraverso i finestrini delle automobili, o le vetrine dei negozi o, ancora, gli specchi. Questo gli ha dato modo di sfruttare riflessi e distorsioni per creare un’atmosfera onirica, che riprende a livello semantico quanto l’amore tra le due protagoniste sia destabilizzante.
Quando Carol incontra Therese a pranzo per la prima volta, ad esempio, vediamo la figura imminente attraverso la finestra sporca del ristorante, scelta che crea inevitabilmente un senso di mistero attorno sia al personaggio sia, più in generale, alle vicende della pellicola.
Chiaramente non si tratta solo di un virtuosismo tecnico, o di una pura citazione di Leiter, ma se si fa un’analisi più approfondita sul senso che ha il film e sulle emozioni che vuole suscitare – si parla pur sempre di una storia d’amore omosessuale in un’epoca in cui non era poi così ben visto – si può capire che, di riflesso, quell’astrazione che ritroviamo in ogni scatto di Saul Leiter, è il miglior modo per comunicare il senso di confusione che può suscitare all’interno delle protagoniste quello che entrambe stanno vivendo.
Un altro elemento ripreso fortemente dal fotografo è il colore rosso: questa tonalità dipinge le labbra delle due protagoniste, spesso i loro vestiti, ma anche i luoghi, essendo il film ambientato a dicembre, in un clima natalizio. Saul Leiter, da quello che si evince dai suoi scatti, è ossessionato dal colore rosso: quando vi è un elemento purpureo l’osservatore può star certo che si tratta di un dettaglio essenziale ai fini sia del racconto che della composizione fotografica. Alcuni suoi scatti sono fenomenali proprio per l’inserimento di dettagli rossi.
Ancora una volta, ecco come l’estetica cinematografica è strettamente collegata all’arte, e come il cinema stesso possa essere considerato arte.
Se non avete visto Carol, vi invito a farlo; se l’avete visto ma non avete notato la delicatezza della regia e della fotografia, credo che forse una seconda visione potrebbe essere sacrosanta.
Fatemi sapere cosa ne pensate qui sotto, e, ancora una volta, se vorrete suggerirmi qualcosa da analizzare, io ne sarò estremamente felice.
Per ora, alla prossima!
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Aurora