Vent’anni fa usciva nelle sale il film dei fratelli Coen destinato a fare storia. Ma come mai il Drugo è ancora sulla cresta dell’onda? Proviamo a fare il punto della situazione.
Ogni volta che ci troviamo di fronte a un prodotto d’autore nel senso più ampio del termine (fatto da qualcuno), il dubbio sorge spontaneo: che cosa avrà mai voluto dire il tal dei tali? Ci ho beccato? La pensiamo allo stesso modo? E se fosse…? E l’esperienza, al fianco di moli e moli di lavoro critico, insegna che tanto più un prodotto è riuscito tanto più si potranno passare le ore a specularci sopra. Senza mai produrre un’affermazione errata. Senza mai cogliere appieno nel segno.
Così, per i rivolgimenti della ricezione, quello che a prima vista parrebbe una minuziosa parodia delle detective stories di formula americana: investigatori privati ‘veri duri’, pronti a sporcarsi le mani con il crimine pur di far piazza pulita del marciume, spesso per non meglio chiarificati tornaconti personali; pupattole con sgargianti parrucche biondo platino e gambe chilometriche; anziani miliardari debilitati dall’età a cui piace vezzeggiarsi ancora delle loro maniere forti; nuove ramificazioni malavitose che sbucano fuori ad ogni proiettile sputato; e soprattutto gangster senza scrupoli, ancora più gangster, e ancora meno scrupoli. Finisce per diventare il decalogo dei Radical Chic, pace all’anima loro, del ventunesimo secolo – l’ho già scritto probabilmente da qualche altra parte, per me sono gli hipster -, una vera e propria Bibbia di codice estetico.
D’improvviso, ci ritroviamo tutti a ordinare compulsivamente al barman di fiducia un White Russian dopo l’altro. Il quale, allibito – fino al giorno prima siamo stati gli unici e dico gli unici che annacquavano la serata al bancone a suon di Gimlet -, non può fare a meno di lanciare un’occhiata inquisitoria al maglione trapuntato che indossiamo orgogliosamente nella caldana di metà agosto.
Jeffrey Lebowski è l’idea fattasi carne dell’ultimo colpo di coda che la (prima, contro; poi, solo)cultura americana ha saputo esprimere sui mercati internazionali, la deriva ultima della stagione delle rivoluzioni giovanili: è un lupo solitario che si fa bastare la compagnia di una piuttosto ristretta cerchia di commilitoni uomini senza finire ossessionato dal proprio essere maschile; è disoccupato, e spende il proprio assegno statale per comprare latte da mischiare a vodka e Kahlua; è un pacifista convinto che frequenta un reduce del Vietnam convertitosi all’ebraismo e ossessionato dalla sua ex-moglie; va in giro in accappatoio e occhiali da sole ma, per contro, ha la capigliatura più curata di tutto il cast. Porta le sneaker in casa, è sboccato, e il bowling è la sua ragione di vita.
Riassumendo, è uno che sta bene al mondo, che non si scompone nemmeno quando due ceffi qualunque gli fanno irruzione in casa, pisciano sul suo adorato tappeto, e gli affogano la testa nell’acqua del gabinetto. Questo splendido Jeff Bridges si limita a esserci, e continuare a esserci, perdurando nel suo stato fetale. E per questo, nonostante un bell’accenno di pancetta, è dannatamente sexy.
Ogni inquadratura sul Drugo è pensata per mandarci in adorazione degli oggetti, dei dettagli, dei movimenti che gli appartengono, catturandone in un certo senso l’essenza più profonda: quella, agli occhi del mondo, di un perdente cronico che l’ha sempre vinta, a cui è sempre andato bene tirare avanti con lo stesso casuale rotolio del tumbling tumblweed che, per i primi due minuti, viene tampinato senza sosta dall’occhio cinematografico.
Il grande Lebowski è un catalogo di feticci. È la risata perfetta sulle pene irrisolte del Novecento – dalle femministe ai queer passando dal militare congedato -, arrivata con tempismo perfetto alla vigilia del nuovo secolo. E il protagonista, da parte sua, costituisce un esempio inarrivabile per il pubblico al di qua del Sol Levante: perché è esattamente quello che tutti vorremmo essere; cioè tutto quello che nessuno di noi avrà mai davvero il coraggio di mettere in pratica.
Ah, il White Russian, se non l’aveste ancora provato (e così non siete hipster: Phu!), è un intruglio ingrato. Ancora ancora con il latte, ma quando te lo servono innevato di panna dolcificata semi-montata al posto del suddetto la bocca dello stomaco ti maledice dal profondo.
P.P.S. L’approdo sugli schermi di prodotti come Maniac (la serie Netflix, n.d.r.) mi fa pensare che l’era dell’hipster stia raggiungendo la sua crisi. Tra poco il crinale sarà scavallato, e andremo incontro a nuovi animali fantastici. Quindi teniamoci stretto questo Drugo come talismano di viaggio. Tanto non dovremo nemmeno cercarli: saranno loro a trovare noi. Saremo noi.
Enjoy!
Follow us:
- Facebook: WWW.FACEBOOK.COM/INTOCCABILIBLOG
- YouTube: WWW.YOUTUBE.COM/INTOCCABILIBLOG
- Instagram: WWW.INSTAGRAM.COM/INTOCCABILIBLOG
- Email: intoccabiliblog@gmail.com
ET